la fiaba del Calzolaio Prodigioso


Nelle società del passato la figura e la professione del calzolaio aveva dignità e rilievo.
Camminare era la forma fondamentale del viaggiare e quella del calzolaio era un’arte appunto perché doveva consentire al cliente lunghi percorsi a piedi. Così nelle fiabe, nella letteratura, nella pittura, la scarpa ha sempre un significato simbolico, misterioso e profondo: la ricerca dell’ignoto. In particolare io mi sono occupato della scarpa e del viaggio come simboli nella mitologia e nel cinema, che riprende molti temi e motivi della mitologia greco/romana.



Com’è noto, il messaggero degli dei era Ermes (il romano Mercurio) che portava ai piedi due calzari alati, chiamati da Omero i “talari”. Meno noto è forse che Ermes era anche spesso portatore di doni preziosi. Con i calzari alati di Ermes, l’eroe Perseo aveva potuto uccidere uno dei grandi mostri dell’antichità, Medusa e tagliare la sua testa, volando nell’aria. Possiamo ancora vederlo con i preziosi calzari nel bronzo di Cellini. Grazie a Ermes, Ulisse era riuscito a sventare le insidie della maga Circe che trasformava in animali tutti i viaggiatori. Anche nel medioevo Ermes era considerato protettore di molte arti, fra cui quella del calzolaio. Salvatore Ferragamo aveva conoscenza di questi grandi miti: uno dei suoi manifesti mostra i calzari alati di Ermes, un altro i sandali greci ai piedi di una giovane donna.




Il viaggio e le scarpe hanno una grande importanza simbolica.
Nel film Il mago di Oz (1939), una bambina, in sogno, percorre una lunga strada alla ricerca di un mago, e questo percorso è reso possibile dalle scarpette rosse sottratte a una strega, con l’aiuto di una fata, che vola in una bolla d’aria, come Mercurio era raffigurato nel Medioevo: “sono le scarpe – dice la fata – che ti porteranno al posto che cerchi”.
Anche in film più recenti, come Il sogno di Calvin (2002) due scarpe da ginnastica acquistano un potere magico grazie a un temporale e a una scarica elettrica, tanto da portare un ragazzino timidissimo a diventare un giocatore di basket accanto a veri campioni.


Ma l’apoteosi della scarpa e della figura divina/diabolica del ciabattino si trova nel film Scarpette rosse (Powell e Pressburger, 1948), ispirato alla favola di Andersen. Qui le scarpette che danzano da sole e non danno tregua alla protagonista, diventano un simbolo dell’arte, la danza classica, che esige una dedizione completa, assoluta, la rinuncia a tutte le altre cose della vita, soprattutto la rinuncia all’amore. Le scarpette rosse sono lo strumento della perfezione e della felicità, ma anche della morte, e il calzolaio magico che le ha create è un dio travestito".



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